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Vorrei iniziare raccontandovi la storia di una lotta, di una lotta di donne, iniziata un anno fa davanti ai cancelli della Saga Coffe a Gaggio Montano, nell’Appennino bolognese. Un territorio fragile, come tante aree interne del nostro paese, dove alle volte mancano i medici di base o chiudono i punti nascita, dove i nostri spazi – preziosissimi – fanno fatica a sopravvivere, dove le aziende dal giorno alla notte decidono, e possono farlo, di de-localizzare senza alcuna considerazione per la vita delle persone. Siamo pieni in Italia di storie ingiuste come questa, abbiamo sentito ieri la testimonianza di Dario Salvetti – e la maggior parte di queste storie non finisce bene. A Gaggio Montano gli operai ma soprattutto le operaie della Saeco, che erano la maggioranza (200 su 220), hanno vissuto cento giorni davanti ai cancelli di una fabbrica, anche sotto la neve, hanno lottato e alla fine è arrivata una nuova proprietà e un nuovo progetto industriale. Vi racconto questa storia perché questa non è stata solo la lotta di un gruppo di donne tenaci e di un sindacato, la Fiom.
E’ stata la lotta di una comunità che ha scelto di reagire a un’ingiustizia e per tre mesi è stata in presidio con le operaie, facendo in modo che questa storia diventasse visibile a tutte e tutti, un fatto pubblico che richiamava a una responsabilità collettiva. Associazioni, cittadine e cittadini, sindaci, femministe, realtà culturali, istituzioni hanno sostenuto coi loro corpi, le loro voci lavoratrici e lavoratori. E credo che questa storia abbia tanto da insegnarci su come noi, su come tutta l’associazione a tutti i livelli debba agire nei prossimi mesi. Mentre il sistema sanitario pubblico si sgretola, mentre si continuano ad avvantaggiare le imprese a scapito dei lavoratori, mentre si toglie un reddito di cittadinanza a chi vive non per scelta in condizioni marginalità come se la povertà fosse una colpa, mentre si cercano di restringere gli spazi pubblici della discussione e della contestazione, smettere di resistere – resistere al covid, al caro bollette, a una riforma che ci ha mortificato – e iniziare a lottare con più convinzione per provare a cambiare l’ordine delle cose.
Lottare insieme ai nostri circoli, nei territori, stando in mezzo alle cose e agli avvenimenti; agire collettivamente per rendere i nostri spazi luoghi trasparenti, in grado di mettere in connessione il dentro e il fuori e di accogliere le persone che ieri Franco Grillini ha definito cittadine e cittadini di serie b. Sfugge molto spesso alla politica e alle amministrazioni locali e a volte persino a noi stessi, quando siamo alle prese con la sostenibilità economica dei nostri progetti, ma noi non diamo assistenza noi abbiamo la responsabilità di creare opportunità.
L’Arci è un organismo potente, fatto di storie, intelligenze, progetti, luoghi visioni, culture e quello su cui dobbiamo interrogarci oggi a tutti i livelli è non solo come facciamo a tutelare questo patrimonio, come possiamo farlo crescere ma come, con quali strumenti, con quale organizzazione, riusciamo a mettere questo patrimonio a disposizione della collettività. Come il fermento, le competenze, le energie che attraversano la nostra associazione possano diventare un antidoto contro l’odio, contro l’indifferenza, contro chi vuole relegare la donna al focolare domestico.
Lo dico pensando alla regione da cui provengo, perché nel discorso politico a cui siamo abituati, ma anche in tante discussioni che sento nella mia bolla bolognese, ci percepiamo spesso come dei privilegiati, come se fossimo immuni ai richiami della destra e su questa convinzione ci siamo troppo spesso seduti. La rendita è finita, nelle nostre case del popolo ci sono soci – la minoranza certo – che dichiara tranquillamente di votare fratelli di Italia, tanti circoli rischiano di chiudere o hanno già chiuso i battenti anche perché non sono capaci di rigenerarsi, le persone vivono sempre peggio e quello che gli si è detto è che devono prendersela con chi sta peggio di loro non con chi si arricchisce ingiustamente.
Per capire cosa vogliamo diventare, Io penso che dobbiamo tornare a studiare. Istruiamoci, formiamoci. Progettiamo, sperimentiamo, usiamo nuovi strumenti e soprattutto mettiamo in connessione circoli, comitati, esperienze, costruiamo occasioni di confronto perché le tante realtà che sono oggi in questa sala si sentano quotidianamente parte di un progetto collettivo, anzi possano ogni giorno prendere parte a un progetto collettivo.
Lavoriamo per aprire un dialogo con tutte le realtà sociali che si muovono dentro e fuori dal nostro mondo, costruiamo nuove alleanze, partendo dalla consapevolezza che nessuno si salva da solo e che oggi dobbiamo tutte e tutti assumerci il rischio politico di uscire dalla propria confort zone, tenendo insieme la lotta per i diritti al lavoro e del lavoro con quella per i diritti sociali, le rivendicazioni per uno sviluppo sostenibile con la pace
E infine lasciamo spazio: facciamo spazio ai giovani, a chi proviene dai territori più fragili e faticosi, ai migranti, a chi non ha diritto di cittadinanza, alle minoranze, diamo un nuovo protagonismo agli anziani. E a noi donne dico, prendiamoci lo spazio, non aspettiamo che ci venga concesso, noi possiamo essere le protagoniste di questa rivoluzione. In un comitato composto prevalentemente da donne, abbiamo imparato sulla nostra pelle quanto non sia facile ricoprire un ruolo politico ed essere una dirigente di quest’associazione in un mondo che resta prevalentemente maschile e maschilista. Ma abbiamo anche sperimentato la possibilità di modificare alcuni aspetti della nostra organizzazione, i tempi e le modalità del lavoro, i percorsi di partecipazione e democrazia interna ma soprattutto abbiamo condiviso il nostro sguardo e la nostra consapevolezza con gli uomini e le donne dei nostri circoli e dei nostri organismi dirigenti e tutte e tutti noi stiamo crescendo. Cambiare un mondo disegnato per rispondere alle esigenze degli uomini è una sfida enorme ma è nostra responsabilità provarci, a partire dalla nostra organizzazione, attraverso un lavoro politico e culturale che abbiamo iniziato nella commissione tematiche di genere che oggi voglio ringraziare e che dovrà proseguire nei prossimi anni anche insieme agli uomini.
Guardando al nostro futuro, di tutte e tutti noi, alle volte vi confesso mi prende lo sconforto ma guardando la passione della mia delegazione, ascoltando gli interventi – anche di tanti giovavi e volti nuovi – credo ancora possa essere un viaggio bello anche se mancheranno alcuni compagni. Ringrazio Daniele, Alessandra e tutte le persone che hanno ricordato Michele Girotti in questo ultimo anno a nome di tutta l’Arci di Bologna. Oggi Michele sarebbe stato seduto qui insieme a noi, ci avrebbe dato una mano per non commettere leggerezze o imprecisioni e non avrebbe detto molto altro perché Michele si è sempre messo al servizio dell’associazione, qualsiasi cosa ci fosse bisogno, sempre un passo indietro.
Oggi, anche grazie a lui, noi andiamo avanti, con orgoglio e con coraggio.